Stanley Kubrick

MANHATTAN, New York (USA), 26 Luglio 1928


Carriera – fonte: it.wikipedia.org

Nacque a New York presso il Lying-In Hospital di Manhattan, il 26 luglio del 1928, primogenito di Jacob Leonard Kubrick (1901-1985), un medico statunitense nato da una famiglia ebraica di origini austriache, polacche e rumene, e di Sadie Gertrude Perveler (1903-1985), una casalinga statunitense, anch’ella di origine ebraica. Fin da bambino si appassiona ai miti dell’antica Grecia e alle fiabe nordiche, ma soprattutto al gioco degli scacchi e alla musica jazz e per un certo periodo si guadagna da vivere grazie a gare di scacchi, come viene spiegato nel documentario A Life in Pictures, e impara a suonare la batteria. All’età di tredici anni riceve in regalo dal padre una macchina fotografica. Fin da bambino è affascinato dalla tecnica fotografica e nel 1945 la sua carriera parte con una foto di un edicolante rattristato della notizia della morte del presidente Roosevelt, che vende alla rivista Look. Negli stessi anni segue studi artistici di fotografia (che gli rallenteranno il percorso scolastico) e comincia ad appassionarsi alla poesia simbolistica e alla filosofia, che lo porteranno in breve a conoscere il pensiero di Nietzsche. Dopo essersi diplomato, comincia a lavorare per Look come fotografo. A diciannove anni trascorre cinque sere la settimana nella sala di proiezione del Museum of Modern Art di New York, a guardare vecchi film e dopo quattro anni di studio all’accademia di arte cinematografica, pagati grazie allo stipendio da giornalista locale, decide di dedicarsi attivamente al cinema. Nel 1949 dirige il cortometraggio Day of the Fight, un documentario sulla giornata del pugile Walter Cartier autoprodotto con soli 3900 dollari raggranellati tra parenti e amici, e che rivende alla RKO per 4000 dollari. Il successivo documentario, finanziato dalla RKO per 1500 dollari, è Flying Padre, sulla giornata di un prete del Nuovo Messico che percorre la sterminata estensione della sua parrocchia utilizzando un piccolo aereo da turismo. Leggi tutto...
Anni cinquanta – Ottenuto un discreto successo con i primi cortometraggi, decide di abbandonare definitivamente il lavoro alla rivista Look e di iniziare la carriera di regista a tempo pieno producendo il primo lungometraggio nel 1953, Paura e desiderio, che divenne poi per anni quasi introvabile e definito poi dall’autore, in età matura, «un tentativo serio realizzato in modo maldestro», ma che gli permette di prendere maggiore confidenza con la tecnica cinematografica. Nel 1955 gira Il bacio dell’assassino. Subito dopo firma un contratto con la United Artists. Nel 1956 Kubrick fonda una piccola società con il produttore James B. Harris. Il primo film con il nuovo marchio è Rapina a mano armata, che narra della tentata rapina a un ippodromo e dei suoi tragici sviluppi, attraverso immagini documentaristiche e una struttura narrativa che si muove avanti e indietro nel tempo, invertendo l’ordine cronologico degli eventi e arrivando a mostrare uno stesso fatto da diversi punti di vista, film che non ha un buon successo commerciale, ma ottiene parecchie recensioni positive dalla critica. L’anno seguente, dopo aver letto il libro Orizzonti di gloria decide di realizzarne la trasposizione su pellicola che verrà finanziata da Kirk Douglas, che ne è anche protagonista. Nonostante fosse ambientato nelle retrovie francesi della prima guerra mondiale, venne girato in Germania, non avendo ricevuto l’autorizzazione per le riprese dal governo francese e anche il permesso di distribuzione in Francia arrivò solo nel 1975; il film costò 935.000 dollari e impose Kubrick all’attenzione della critica. Molte le sequenze memorabili di quello che viene considerato il primo indiscusso capolavoro del regista; di particolare impatto l’acrobatico piano sequenza in cui la camera procede lungo la trincea francese all’inizio del film, riprendendo la spossatezza dei soldati, e la scena finale, in cui una ragazza tedesca, interpretata dalla terza e ultima moglie del regista, Susanne Christian, canta ai soldati francesi, che l’hanno accolta con urla da caserma, una canzone malinconica che li commuove profondamente. Nel 1959 Kirk Douglas gli offre la regia di Spartacus, dopo aver licenziato Anthony Mann, con cui aveva avuto parecchi contrasti sul set. L’esperienza di Spartacus non si rivela positiva, soprattutto perché Kubrick non si trova a suo agio senza avere il completo controllo di tutte le fasi di produzione e non vive serenamente il rapporto con Douglas, che oltre a essere il protagonista del film ne è anche il produttore. Il film rimane notevole nel suo genere in quanto in quel momento fu il più costoso della storia, ottenendo grande successo di pubblico e quattro premi Oscar. Dopo questo film, Kubrick si trasferisce definitivamente in Inghilterra e decide di dedicarsi soltanto a progetti di cui ha il completo controllo.
Anni sessanta – Nel 1962 dirige Lolita della cui sceneggiatura, scritta da Vladimir Nabokov, autore dell’omonimo romanzo, utilizza solo qualche dialogo. Il film è soggetto a dure critiche da parte della censura, in particolar modo americana. Nel film recita Peter Sellers, che lavorerà con Kubrick anche nel suo film successivo, Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, girato nel 1963, una commedia satirica che provoca grande attenzione e ammirazione da parte della critica e che gli vale tre candidature all’Oscar (miglior regia, miglior film e miglior sceneggiatura). Il film è notevole anche da un punto di vista storico e riesce mirabilmente a dare forma al terrore dell’atomica all’epoca della guerra fredda, soprattutto in considerazione del fatto che gli ambienti sono ricostruiti con la massima verosimiglianza e tutte le procedure militari corrispondono a quelle realmente in vigore all’epoca. Dopo quattro anni di lavorazione e una spesa di 10 milioni di dollari, 6 milioni e mezzo solo per gli effetti speciali, esordisce 2001: Odissea nello spazio. Il film, oltre a essere uno dei picchi più alti raggiunti dalla cinematografia mondiale, è una profonda riflessione filosofica sulla natura dell’uomo, sulla sua evoluzione e sul suo futuro in rapporto con l’universo. Il film riceve svariate candidature agli Oscar, ma vince solo quello per gli effetti speciali. Numerosissime le scene da antologia, dalla più ampia ellissi della storia del cinema con l’osso della scimmia che lanciato in alto diventa l’astronave oblunga che “danza” sulle note di Sul bel Danubio blu di Johann Strauss, alla sequenza delle stelle, fino all’enigmatico finale con l’embrione che, dallo spazio, concede uno sguardo in macchina che buca lo schermo cinematografico fino allo spettatore.
Anni settanta – Il progetto successivo fu un film su Napoleone, che avrebbe dovuto essere interpretato da Jack Nicholson, ma a causa del fiasco di un film uscito nel 1970, Waterloo di Sergej Bondarčuk, non fu mai realizzato. Nel 1971 scrive la sceneggiatura di Arancia meccanica, tratto dall’omonimo romanzo di Anthony Burgess del quale sarà poi anche regista e produttore; il film sarà destinato a causare controversie in gran parte dei paesi dove uscirà; miscuglio uniforme di diversi generi cinematografici è uno dei film di maggiore influenza sul cinema mondiale tra quelli realizzati dagli anni settanta a oggi. Kubrick avrebbe anche chiesto ai Pink Floyd di usare la loro suite Atom Heart Mother come colonna sonora del film (composta poi invece principalmente da musiche classiche di Beethoven e di Rossini), ma la band rifiutò perché Kubrick non aveva ancora idea di come inserirla nel film e ne voleva tutti i diritti. Nonostante le forti censure, negli Stati Uniti e in altri paesi europei come l’Italia, il film ha un enorme successo, e riceve quattro candidature all’Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura e montaggio) e sette ai Bafta britannici. Dopo questi due film, cambia genere con Barry Lyndon (1975), tratto dal romanzo Le memorie di Barry Lyndon di Thackeray che non ha un grande successo di pubblico ma gli procura altre sette candidature ai premi Oscar (tra le quali ancora regia, sceneggiatura e produzione). Ciò che più colpisce ancora oggi è l’enorme capacità tecnico-fotografica, che permette a Kubrick di girare in interni con la sola luce delle candele, anche grazie all’utilizzo di un particolare obiettivo Zeiss Planar originariamente prodotto per la NASA, ottenendo in questo modo la particolare atmosfera che caratterizza il film. Inoltre, la quasi totale assenza di profondità di campo, ottenuta con teleobiettivi molto potenti e diaframmi apertissimi, permette a Kubrick di ottenere inquadrature del tutto paragonabili ai quadri dell’epoca in cui è ambientato il film.
Anni ottanta e novanta – Nel 1980 Kubrick dirige un film horror, Shining, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, con protagonista Jack Nicholson. La storia si svolge interamente all’interno di un grande albergo isolato; il film è stavolta una profonda analisi da parte di Kubrick della cosiddetta “famiglia americana”, immersa in un contesto onirico e inquietante, inquadrato perfettamente nell’ambientazione dell’hotel isolato dal resto del mondo: lì, la reale personalità dei protagonisti, nel caso principale quella del personaggio interpretato da Jack Nicholson, viene alla luce con conseguenze irreparabili e mostruose. Il film è pregno di scene simbolo: la visione di Danny delle gemelline, mentre gira nei labirintici corridoi dell’hotel, per poi vederle istantaneamente morte, distese e massacrate. L’ascensore che esplode in un’onda di sangue, come a presagire che qualcosa di sinistro sta per accadere. Jack che, nelle fauci della follia, fa a pezzi con un’accetta la porta del bagno, dove Wendy si è rifugiata in una maschera di palpabile terrore. La scena finale nel labirinto di siepi, dove Jack insegue il piccolo Danny in una spirale da incubo, che non concede spazio. Sebbene subito dopo l’uscita non venga acclamato dalla critica come i precedenti, riscuote un enorme successo di pubblico e le sue scene visionarie, ambientate in spazi deserti e vuoti sono entrate nella storia del cinema: il corridoio invaso da un’onda di sangue, l’inseguimento attraverso il labirinto di siepi durante la tempesta di neve e il misterioso finale. Nel 1987 dirige il suo terzo e ultimo film sulla guerra, questa volta su quella del Vietnam, Full Metal Jacket, affresco cinico e crudele sulla guerra che distrugge e disumanizza, assoluto capolavoro di sceneggiatura e regia dove emerge ancora una volta il grande sarcasmo di fondo antimilitarista e antibellico del regista, nonché la profonda indagine psicologica sulla dualità dell’essere umano riferita a una teoria di Jung e accennata anche dal protagonista, il soldato Joker, durante il film. Dopo questo si dedicò a un progetto al quale lavorava da anni, un film sulla Shoah. La moglie di Kubrick racconta nel documentario Stanley Kubrick: A Life in Pictures che «Trasformò un libro di Louis Begley, Wartime Lies, in una sceneggiatura: Aryan Papers, la storia di una famiglia di ebrei che cerca di scappare dai nazisti. Quando fu pronto a iniziare la produzione, Steven Spielberg aveva però già cominciato a girare il suo personale film sull’Olocausto Schindler’s List – La lista di Schindler e intuendo che le similitudini erano troppe, Kubrick mise da parte il suo progetto. Inoltre, pensava fosse una storia irraccontabile. “Se davvero voglio mostrare ciò che ho letto e che è successo – e aveva letto tutto – come posso filmarlo? Come si può far finta?” Era molto depresso durante la preparazione e fui contenta quando ci rinunciò, perché stava davvero soffrendo». Kubrick diresse quindi la sua attenzione su un altro vecchio progetto: A.I. – Intelligenza artificiale, basato su un racconto di Brian Aldiss e decise di chiedere a Spielberg di dirigerlo, mentre lui si sarebbe occupato della produzione. I due registi discussero per molto tempo sul film, ma il progetto, per ammissione dello stesso Spielberg, fu rinviato per motivi tecnici: «La tecnologia digitale stava per esplodere e Kubrick pensò che avrebbe avuto enormi benefici aspettando qualche anno».
«Io sono un regista veloce, mentre Stanley era molto lento e metodico. Era uno che pensava a lungo alle cose. Ogni tanto mi diceva “ti farò sapere”, e poi non lo sentivo per una settimana. Quando mi telefonava, una settimana dopo, ci aveva davvero pensato su per sette giorni, e mi teneva al telefono per tre ore per discuterne nei minimi dettagli» (Steven Spielberg)
L’ultimo film di Kubrick risale al 1999, Eyes Wide Shut, tratto dal romanzo Doppio sogno di Arthur Schnitzler. Dopo anni di lavorazione Kubrick muore però prima dell’uscita nelle sale. Nonostante voci affermino che Kubrick non sia riuscito a terminare il film per quanto riguarda il montaggio, sembra ormai chiaro che anche quest’ultima fase fosse giunta praticamente a conclusione quando sopraggiunse la morte. Kubrick morì durante il sonno, stroncato da un infarto, nella sua casa di campagna il 7 marzo 1999, all’età di settant’anni. I funerali avvengono in forma riservata e laica, conformi a quella ritrosia dal mondo esterno che aveva caratterizzato l’ultima parte della sua vita. In base alle sue ultime volontà, il corpo è stato sepolto nel giardino della casa stessa a Childwickbury, nell’Hertfordshire.


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Curiosità – fonte: www.cinematographe.it

1 – Un’ossessione per i dettagli

In molti conosciamo la sua carriera come regista di lungometraggi iniziata nel 1953 con la pellicola Paura e Desiderio, ma non tutti sanno che prima ancora di scoprire il suo amore per il cinema, Kubrick possedeva quello per la fotografia. Alla giovane età di 16 anni, il regista vendeva già i suoi scatti al magazine Look, per il quale realizzò più di 27000 fotografie collaborando dal 1945 al 1950 prima in veste di tirocinante e poi come inviato in giro per gli Stati Uniti. Nonostante si trattasse di fotogiornalismo e di rappresentazione della realtà nella sua naturalezza, Kubrick preferiva piuttosto “dirigere” la composizione dei suoi scatti, lavorando con il soggetto dell’immagine fino ad ottenere l’opera che per lui risultava perfetta. Ogni movimento ed espressione facciale era calcolato al minimo dettaglio, in una tecnica che poi avrebbe adottato in seguito in campo cinematografico. La sua ossessione per il raggiungimento di una perfezione in immagini è documentata anche negli innumerevoli scatti che sono stati poi ritrovati nella sua villa dell’Hertfordshire e che testimoniamo l’immensa quantità di lavoro a cui egli si dedicava dal punto di vista fotografico nel dietro le quinte dei suoi film. Secondo il documentario di Jon Ronson intitolato Stanley Kubrick’s Boxes, il regista ha scattato più di 30000 fotografie solo per il suo ultimo film Eyes Wide Shut. Se questa rappresenta una media degli scatti, non è difficile fare un calcolo di quanti rullini il cineasta ha consumato nel corso della sua carriera.

2 – Tredici lungometraggi ma infiniti altri progetti

Tra gli innumerevoli progetti ai quali Kubrick mise mano, solo tredici hanno effettivamente visto la luce del grande schermo. Il regista lavorò senza sosta su infinite idee, in alcuni casi anche per diversi decenni, ma non sempre riuscì a portarle realmente a compimento, a volte per mancanza di opportunità, altre volte per mancanza di tempo o, ancora, a causa di sceneggiature non ritenute all’altezza. I suoi adattamenti cinematografici di opere letterarie quali Il pendolo di Foucalt di Umberto Eco o de Il bruciante segreto di Stefan Zweig rimasero per sempre nel cassetto, così come il film sul rapinatore di banche Willie Sutton intitolato I Stole 16 Million Dollars, che prese forma in una sceneggiatura rifiutata da Kirk Douglas in quanto considerata mal congeniata. Si dice che Kubrick fu perfino chiamato per dirigere una versione de Il signore degli anelli quando la casa di produzione United Artists ne comprò i diritti nel lontano 1960.
Ma tra i tanti progetti non realizzati da Kubrick, quelli sui quali versò più tempo, sangue e lacrime sono sicuramente due: Aryan Papers, un film drammatico sull’Olocausto sul quale il regista lavorò per ben 30 anni ma che fu accantonato definitivamente dopo l’uscita del capolavoro di Steven Spielberg, Schindler’s List, e il biopic su Napoleone Bonaparte, il quale fu ritenuto troppo costoso per prendere vita. Purtroppo, tutti noi resteremo sempre con il dubbio su cosa la brillante mente di Kubrick avrebbe potuto concepire se queste idee avessero veramente preso forma sul grande schermo..

3 – Un regista amante della tecnologia

Come abbiamo detto all’inizio, Kubrick non si limitava semplicemente a ricoprire il ruolo di regista, bensì preferiva essere un vero e proprio artista della cinematografia nel senso più generale del termine. Oltre all’estrema ossessione per la fotografia, egli era anche un appassionato di tecnologia che lo portò ad essere coinvolto anche nel lato più pratico del cinema, oltre che a crearsi una collezione personale di macchine da presa e fotografiche, ammassate nel suo appartamento di New York. La sua passione era tale da renderlo quasi un esperto in tal senso, tanto che per il film Barry Lindon, egli decise di modificare in prima persona le lenti NASA Zeiss, le stesse utilizzate nel telescopio della Hubble, per creare una luce naturale che rispecchiasse il più fedelmente possibile lo stile del 18esimo secolo. Proprio l’amore e la grande immaginazione di Kubrick per la tecnologia costituirono uno degli spunti per la realizzazione della pellicola AI: Intelligenza Artificiale che Steven Spielberg fece in suo onore e che, siamo sicuri, il maestro avrebbe estremamente apprezzato.

4 – Il coinvolgimento nel finto sbarco sulla Luna

Ci sono molte storie divertenti riguardanti la teoria del finto sbarco sulla Luna, ossia l’idea secondo cui l’uomo non sia mai arrivato a mettere piede sul nostro satellite bensì tutto ciò fosse un’ingannevole opera di propaganda operata dagli Stati Uniti per supportare il proprio paese durante la Guerra Fredda. Secondo alcuni, Stanley Kubrick, colui che ha vinto l’Oscar per gli effetti speciali di 2001: Odissea nello spazio, sarebbe in realtà dietro l’imbroglio costruito dalla super potenza quel 20 Luglio 1969, utilizzando il suo grande talento per la realizzazione degli effetti visivi e la sua incredibile attenzione per i dettagli per farci credere che quella trasmissione in contemporanea mondiale stesse accadendo sul serio mentre era solamente un ottimo ma pur sempre finto artefatto tecnologico. Secondo questi complottisti, Kubrick aveva delle conoscenze all’interno della NASA che lo chiamarono per aiutarli nell’uso delle stesse tecnologiche che egli aveva sfruttato nel suo capolavoro sullo spazio. E per completare il tutto, il cineasta avrebbe perfino rivelato il suo coinvolgimento nell’elaborato piano diabolico sotto forma di piccoli suggerimenti velati nel film Shining. Una fantasia da vero premio Oscar.

5 – Una passione lunga una vita

Durante il liceo, Kubrick era uno studente nella media che mostrava poca passione per le varie materie e che non si impegnava duramente per il raggiungimento dei propri obiettivi. Un quadro difficile da credere considerando la sua estetica come regista ma che si spiega nel fatto che egli non provava grande fiducia verso il sistema educativo americano. Nel 1940, il padre di Stanley decise di mandarlo in California per vivere con lo zio e fu proprio qui che il giovane sviluppò per la prima volta un vero e proprio interesse verso qualcosa che gli rimase per tutto il resto della sua vita: gli scacchi.
In seguito, Kubrick affermò che questo sport insegnava a pensare attentamente prima di agire, a controllare le emozioni per non farti cadere in errore e a escogitare soluzioni e vie d’uscita quando ti trovi in difficoltà. Per i parchi era facile trovare il cineasta intento a guadagnare qualche dollaro vincendo partite di scacchi contro i suoi avversari. Il regista possedeva perfino una mossa preferita di apertura, ossia la 1.b4 – “The Orangutan”, e diventò amico del campione Larry Evans. Un articolo del 1966 rivelò inoltre che durante la realizzazione de Il dottor Stranamore, Kubrick continuava a battere a scacchi George C. Scott mentre dirigeva il film senza dimostrare la benché difficoltà nel svolgere i due compiti contemporaneamente.

6 – Un uomo dai metodi difficili

Sin dai suoi primi lavori, ai collaboratori di Kubrick fu chiaro come lui non fosse un uomo facile con cui lavorare, sia per la sua ideologia estetica e sia perché non si limitava a svolgere solamente il suo ruolo di regista. Durante le riprese del suo terzo lungometraggio The Killing, il cineasta ebbe parecchie discussioni con il direttore della fotografia poiché, a causa della sua estesa conoscenza di quell’arte, Kubrick cercava in tutti i modi di compiere anche il lavoro destinato al fotografo e ai cameraman. Oltre a questo, il suo stile e il suo modo di approcciarsi all’opera rendeva complicato il coinvolgimento dei vari collaboratori in un clima tutt’altro che sereno. Kubrick lavorava nei suoi tempi, che abbiamo visto essere abbastanza biblici, e non permetteva a nessuno di entrare nelle sue scelte creative. Se nella sua mente una scena era stata concepita in quella maniera, era necessario che fosse realizzata esattamente in quel modo. Una cosa è certa: Stanley Kubrick non era il miglior datore di lavoro del mondo.

7 – Una serie di successi tardivi

Nonostante ad oggi la maggior parte dei lavori di Stanley Kubrick siano considerati come capolavori indiscussi del cinema, quasi mai il trionfo di una sua pellicola è arrivato nel momento dell’uscita in sala. Ora ci sembra assurdo, ma all’epoca della loro presentazione, 2001: Odissea nello spazio, Shining, Arancia Meccanica e Full Metal Jacket, solo per citarne alcuni, non furono accolti propriamente dal plauso degli spettatori e tantomeno si rivelarono una grande hit ai box office mondiali. La critica non sembrava aver colto immediatamente fino a dove si estendeva la grandezza delle sue opere e la sua cifra stilistica, tant’è che Shining, seppur ottenne un discreto successo al botteghino, fu poi parzialmente stroncato nelle recensioni ricevendo addirittura due candidature ai Razzie Awards, una proprio come Peggior Regia. Nonostante gli alti e bassi e i parziali successi e insuccessi, Kubrick non si fermò di fronte a niente, continuando a realizzare i suoi progetti come lui li aveva immaginati e, come è giusto che sia, il tempo gli ha dato poi ragione.

8 – Una varietà di sensazioni a suon di musica

Oggigiorno, Stanley Kubrick non viene studiato solamente sui libri di storia del cinema ma anche attraverso gli insegnamenti di musica applicata alla settima arte o semplicemente di composizione dei film. La colonna sonora era uno degli aspetti più importanti per il regista, il quale era anche parecchio pignolo nella scelta delle musiche e degli strumenti sonori. Ogni singolo elemento doveva produrre una determinata esperienza sensoriale nello spettatore e la musica era il metodo migliore per trasformare le immagini sullo schermo in quella data sensazione. In un’intervista, Kubrick ha così affermato: “Penso che la musica sia uno dei modi più efficaci per preparare il pubblico e sottolineare dei concetti che si vogliono far notare ad esso. L’uso corretto della musica, e ciò include anche il non-uso della musica, è una delle armi più potenti che un regista abbia a disposizione”. Il regista faceva uso di un ampio repertorio musicale, dal popolare al classico fino ad arrivare alle elaborazioni elettroniche senza mai porsi limitazioni in quanto qualsiasi cosa poteva contribuire al risultato finale con un po’ di considerazione e attenzione.

9 – Cinema e letteratura: due arti affini e libere da costrizioni

Dal momento che quasi tutti i suoi lavori erano adattamenti di opere letterarie, Kubrick sviluppò con il tempo una capacità di tradurre visivamente in maniera estremamente accurata le parole che le persone leggevano sui romanzi, tant’è che molte delle sue pellicole erano strutturate in ben definiti atti, come se fossero capitoli di un libro. Egli riprese tutti i più importanti espedienti narrativi, dalla suspense che si prolungava nello sviluppo della trama al prolungamento delle sequenze per conferire un determinato ritmo lento e inesorabile. Secondo Kubrick cinema e letteratura non erano due arti tanto distanti, così come il lavoro che compivano i relativi autori, e una volta ha affermato: “Un regista ha quasi la stessa libertà che uno scrittore ha quando compra per sé un po’ di carta per scrivere”. Registi e romanzieri sono, quindi, due anime affini legate dalla stessa libertà creativa e che in nessun modo deve essere fermata.

10 – Gli idoli di Kubrick

Può sembrare strano ma perfino un grande maestro come Kubrick possedeva degli autori che guarda lui stesso con altrettanta ammirazione così come facciamo noi oggi con lui. Per i suoi lavori, il regista ha diverse volte affermato di aver avuto tra le sue influenze i lavori gotici di Franz Kafka e H.P. Lovecraft, mentre nella sua lista di autori preferiti troviamo David Lean, Ingmar Bergman, Max Ophüls, François Truffaut e i nostri Federico Fellini e Vittorio De Sica. Su tutti questi, però, c’era un cineasta che occupava un posto fondamentale nel suo cuore e che per lui rappresentava il miglior regista di tutti i tempi: si tratta di Elia Kazan, che i più ricorderanno soprattutto per Fronte del porto e La valle dell’Eden. Anche ai più grandi è concesso avere idoli, per quanto assurdo possa apparire.


Filmografia – fonte: www.cinematografo.it

1949 – Il giorno del combattimento – Regia; Fotografia; Montaggio; Soggetto (reportage fotografico)
1951 – Il padre volante – Regia; Sceneggiatura; Fotografia; Montaggio
1952 – Mr. Lincoln – Seconda unità (regia)
1953 – Paura e desiderio – Regia; Sceneggiatura; Fotografia; Montaggio; Suono (non accreditato)
1953 – I marinai – Regia; Fotografia; Montaggio
1955 – Il bacio dell’assassino – Regia; Sceneggiatura; Fotografia; Montaggio; Soggetto
1955 – Rapina a mano armata – Regia; Sceneggiatura
1957 – Orizzonti di gloria – Regia; Sceneggiatura
1960 – Spartacus – Regia
1962 – Lolita – Regia
1964 – Il dottor Stranamore – Sceneggiatura; Regia
1968 – 2001: Odissea nello spazio – Regia; Sceneggiatura; Effetti (effetti fotografici)
1971Arancia meccanicaRegia; Sceneggiatura
1975 – Barry Lyndon – Regia; Sceneggiatura
1980ShiningRegia; Sceneggiatura
1987Full Metal JacketRegia; Sceneggiatura
1999Eyes Wide ShutRegia; Sceneggiatura
2020 – Kubrick by Kubrick – Attore – Se stesso (immagini di repertorio)


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