Lost in Translation

Lost in Translation

2003 ‧ Romantico/Drammatico ‧ 1h 41m

La conferma di essere un’artista capace di fronteggiare a testa alta i maestri di Hollywood e di portare quel pesante cognome, Sofia Coppola la dà col suo film capolavoro Lost in Translation. Non solo ne cura la regia, ma conia ogni parola della sceneggiatura che le regala il suo primo Oscar nella magica vetrina degli Academy del 2004. Ambientato nella Tokyo schematicamente frenetica, il film racconta la storia dell’attore hollywoodiano di mezza età Bob Harris (uno straordinario Bill Murray) che incontra la giovane sposina neolaureata Charlotte (Scarlett Johansson, altra grande interprete). Entrambi i protagonisti vivono una crisi esistenziale: Bob si vede costretto in Giappone a pubblicizzare una marca di whisky piuttosto che calcare set importanti, oltre ad essere afflitto dal presentimento di un matrimonio ormai giunto alla fine, mentre Charlotte soffre per una vita che sta andando verso una direzione ignota e per aver sposato un uomo che non sente di riconoscere più. La prima parte del film è quasi scontata in quanto riflette la piena tristezza della rassegnazione ad una realtà cui non sentono di appartenere. Qui la regia è curata nei minimi particolari: Sofia circonda i due protagonisti con un contorno di immagini di corridoi d’albergo silenziosi, e li avvolge in rumori fastidiosi come il ronzio dei fax, degli ascensori e dei neon. La seconda parte invece, è un’ode al sottotitolo del film “Everybody wants to be found” – “Tutti vogliono essere trovati“. Difatti, decanta l’incontro fra Bob e Charlotte e dunque la conferma a quella tacita speranza che là fuori, in qualche angolo di questo mondo, che ci fa sentire spesso sbagliati o inadeguati o soli, c’è qualcuno disposto a prendersi cura delle ferite più intime altrui, qualcuno che ci sa leggere dentro, qualcuno capace di farci sorridere o commuovere, qualcuno in grado di capire le nostre paure, ma che ci dia la forza per comprendere che non c’è nulla di male nell’essere spaventati, a volte. Sofia Coppola basa tutto su questo principio, realizzando una pellicola minimal di grande eleganza che ha un impatto enorme in termini di sensibilità, mostrando a noi spettatori la cauta intimità che cresce pian piano fra i due protagonisti, che si perdono nel sollievo di riconoscersi e di lasciarsi andare a come si è veramente, invece di essere sempre forzati a “tradurre” la propria individualità per integrarsi in questa inadeguata società. La particolarità del film sta proprio nella location: se Bob e Charlotte si fossero incontrati per caso nella caotica New York, molto probabilmente si sarebbero ignorati, mentre qui, in Giappone, in un mondo ordinato, ricco di contrasti, come le luccicanti sale-giochi, o le ossessioni verso i miti occidentali demodè che si contrappongono alla delicata ed eterea spiritualità dei giardini e dei luoghi di culto, si sentono isolati, stranieri, incompresi e dunque accomunati da questa incapacità di comprendere, che li accompagna in una storia d’amore delicata e perfetta, il cui culmine è un finale sorprendente, che commuove e convince.

 


Trama – fonte: www.comingsoon.it

Lost in Translation – L’amore tradotto è un film del 2003, scritto, diretto e prodotto da Sofia Coppola. Aeroporto di Tokyo. La star del cinema ormai in declino Bob Harris (Bill Murray) si dirige in albergo a bordo di un taxi. Con occhi sgranati e curiosi guarda dal finestrino dell’auto la metropoli giapponese. L’attore è a Tokyo per girare uno spot pubblicitario di una marca di whisky. Arrivato in un hotel di lusso, una delegazione appartenente all’agenzia pubblicitaria lo accoglie portandogli dei piccoli regali e dandosi appuntamento all’indomani. Una volta sistemate le sue cose in camera e fatta una doccia, Bob rimane seduto un momento, con aria spaesata si guarda intorno, domandandosi probabilmente che cosa ci stia a fare lì. Sceso al bar, si ferma al banco per concedersi un drink. Lì due giovani in viaggio d’affari lo notano e lo riconoscono, ma Bob saluta infastidito e si allontana. In un’altra camera dell’albergo alloggia la giovane Charlotte (Scarlett Johansson), che accompagna in viaggio il marito John (Giovanni Ribisi), fotografo in ascesa. Di notte, insonne, seduta sul letto, fissa il panorama fuori dalla sua finestra e lo sguardo si perde dietro le mille luci della città. Il mattino seguente, John saluta frettolosamente Charlotte: un nuovo servizio fotografico lo aspetta. Rimasta sola e con la consapevolezza di essere poco compresa, la giovane s’interroga sul rapporto col marito, poiché la sua fame di successo l’ha messa in secondo piano. Bob intanto arriva sul set allestito per lo spot del whisky, ma non si sente molto a suo agio: tutti parlano giapponese e le traduzioni dell’interprete lo lasciano un po’ perplesso. Una sera, Bob e Charlotte si trovano per caso al bar dell’albergo e iniziano a parlare. Entrambi insonni, finiscono per passare molto tempo insieme. L’incontro di due solitudini interiori farà nascere un rapporto speciale…


Cast – fonte: www.comingsoon.it


Trailer


Riconoscimenti – fonte: www.mymovies.it

Il film ottenne ben quattro candidature ai Premi Oscar del 2004, portandosi a casa una statuetta:
Miglior sceneggiatura originale a Sofia Coppola

Le altre nomination furono:
Nomination Miglior film
Nomination Miglior regia a Sofia Coppola
Nomination Miglior attore a Bill Murray


Curiosità – fonte: www.darlin.it

1Sofia Coppola non voleva nessun altro che Bill Murray per il ruolo principale. Dopo essersi incontrati a New York e aver parlato per 5 ore, Bill ha dato il suo consenso alla regista senza firmare nessun contratto.

2Coppola ha sempre voluto girare riprese al Park Hyatt di Tokyo. Ci ha soggiornato durante la promozione del suo film The Virgin Suicides ed è subito diventato uno dei suoi posti preferiti. Sebbene ci sia voluto un po’ per convincere l’albergo, alla fine hanno autorizzato Coppola a girare le sue riprese durante la notte e nelle zone comuni dell’hotel (sia ringraziato il Park Hyatt per questa saggia scelta).

3Sofia Coppola ha paragonato Scarlett Johansson e Bill Murray a Bogart e Bacall.

4 – La scena introduttiva è ispirata ad un famoso dipinto di John Kacere, conosciuto per le sue opere iperrealistiche. Sofia Coppola ci ha messo un po’ a convincere Scarlett a girare in mutande, ma poi è diventato così naturale per l’attrice che per gran parte del film ha recitato con pochi vestiti addosso. Fai come fossi a casa tua si dice, no?

5 – Durante la pubblicità per Suntory, Bill Murray non capiva niente di ciò che il direttore artistico giapponese gli diceva. Coppola ha colto l’occasione per non spiegare all’attore cosa gli veniva detto per aumentare lo stato confusionale della scena (Carpe genium).

6 – Per questa scena Bill Murray si è ispirato a Harrison Ford. Durante le riprese l’attore americano stava promuovendo una birra in Giappone.

7 – La scena è stata ispirata al lavoro di Francis Ford Coppola che aveva già realizzato una pubblicità per Suntory Whisky.

8Murray ha improvvisato la scena del sushi bar. Nello script c’era scritto semplicemente: “he tries to make her laugh” (prova a farla ridere).

9Coppola e Murray sono due grandissimi fan di Roxy Music.

10Sofia Coppola ha giurato che il personaggio di Anna Faris non era ispirato a Cameron Diaz, ma ad un mix di 6 o 7 personaggi famosi di Hollywood.

11 – Ci sono voluti diversi giorni per girare la scena nel letto perché i due attori non si sentivano a loro agio. Secondo Coppola si è trattata della ripresa più difficile di tutta la pellicola.

12 – Nessuno sa cosa dice Murray a Johansson nella scena finale. Alcuni esperti hanno decifrato un “I know, I’m going to miss you, too.” (lo so, mi mancherai anche tu). Nel 2003 è stato chiesto a Bill Murray cosa le avesse detto, ma ha risposto che non lo sapremo mai. Il mistero ci mangerà vivi.



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