Come in uno specchio
Su un’isola battuta dal vento, il tempo si ferma. Ma non è solo la storia dei personaggi a muoversi tra quelle stanze sbiadite — è il cinema stesso che si fa corpo, parola e sospensione. Il vero protagonista invisibile è Ingmar Bergman, che orchestra il tutto con una regia che non invade, ma osserva. Si muove come un pensiero non detto: lento, inesorabile, preciso. Bergman non impone, non spiega, non accompagna: scruta. La macchina da presa, guidata magistralmente da Sven Nykvist, è quasi un testimone silenzioso. I movimenti sono minimi, ma densi di significato. Quando si avvicina ai volti, non li cerca per bellezza ma per verità: zoomare su un’esitazione, su una lacrima che non scende, su uno sguardo che finge. La luce è una presenza viva. Nykvist non la usa per illuminare, ma per scavare. I contrasti tra interno ed esterno, tra pieno e vuoto, tra luce naturale ed ombra netta sono come dialoghi muti tra ciò che i personaggi dicono e ciò che tacciono. C’è sempre una finestra, uno scorcio di cielo, un varco verso l’oltre: lo sguardo è murato, ma non rassegnato. Il suono — o meglio, il suo uso deliberato del silenzio — è uno degli strumenti più potenti del film. Non c’è colonna sonora ad accompagnare o a suggerire. Solo il rumore del vento, dei passi sul pavimento, dei respiri che a volte si fanno affanno. In questo vuoto sonoro, ogni parola pesa come piombo, ogni silenzio dice più di un monologo. E poi ci sono gli attori, che non recitano: vivono. Harriet Andersson (Karin) si muove tra lucidità e delirio con una naturalezza spiazzante, come se la follia fosse una stanza che conosce bene. Ogni suo sguardo è un universo frammentato. Gunnar Björnstrand (David), con la sua maschera di razionalità, riesce a far filtrare un dolore antico che non sa nominare. E il giovane Lars Passgård (Minus) rappresenta lo sguardo puro, ancora incapace di difendersi dal mondo adulto. La regia non vuole commuovere né stupire: vuole spogliare. Toglie ogni trucco, ogni orpello, ogni artificio. Resta solo l’essenziale: i corpi, le parole, il tempo che scorre e non perdona. È un teatro dell’anima, dove ogni oggetto, ogni pausa, ogni sguardo ha un peso specifico. E quando tutto sembra sprofondare nel dolore, nel delirio, nell’incomunicabilità, Bergman ci lascia con un’ultima inquadratura che non consola, ma interroga. Come uno specchio, appunto.
Trama – fonte: www.comingsoon.it
Karin, col marito medico Martin, il fratello Minus ed il padre, lo scrittore David, trascorrono le vacanze su un’isola dei mari del Nord. Karin, uscita da una clinica psichiatrica, preoccupa molto Martin, che l’ama e che sa come la donna sia incurabile. Non conosce però i suoi periodici stati di allucinazione durante i quali Karin si reca in una camera in soffitta e ode alcune voci che le annunciano la venuta di un qualcuno, che ella è convinta essere Dio. David, d’altro canto, pur amando la figlia, è preoccupato maggiormente di se stesso e dei suoi successi di scrittore e annota i sintomi della malattia di Karin su un diario per poterne eventualmente trarre l’ispirazione per un suo romanzo. Karin scopre questo diario e viene a sapere di essere senza speranza. Ciò provoca in lei un trauma e si confida con Martin, che cerca di consolarla. Durante una gita in barca, fra Martin e David, soli, avviene un colloquio piuttosto violento, durante il quale David comprende e ammette i suoi errori e cerca un riavvicinamento alla famiglia. Karin, intanto, rimasta sola sull’isola con Minus, confida al fratello le sue visioni nonché il fatto che per vivere in questo nuovo mondo ella si allontana sempre più dal marito. Al ritorno di Martin e David, Karin chiede di ritornare in manicomio, distaccandosi per sempre da un mondo nel quale ormai non può più trovare pace. La sua decisione provoca peraltro un riavvicinamento fra Minus e il padre, i quali d’ora in poi riusciranno a comprendersi meglio.
Cast – fonte: www.comingsoon.it








Trailer
Riconoscimenti – fonte: www.mymovies.it
Il film ottenne due nomination ai Premi Oscar del 1962, portandosi a casa una statuetta:
- Miglior film straniero
Le altre nomination furono:
- Nomination Miglior sceneggiatura originale a Ingmar Bergman
Curiosità – fonte: Mondadori, Criterion Collection, Dizionario Mereghetti, Rivista Sight & Sound
1. Premio Oscar.
Come in uno specchio vinse l’Oscar come miglior film straniero nel 1962. Fu il primo Oscar ricevuto da Bergman, aprendo la strada al riconoscimento internazionale della sua opera.
2. Titolo biblico.
Il titolo originale si ispira a un versetto della Prima Lettera ai Corinzi (13:12):
“Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa…”
Il riferimento sottolinea la difficoltà dell’uomo nel comprendere il divino e se stesso.
3. Trilogia del silenzio di Dio.
Bergman definì Come in uno specchio come parte di una trilogia che esplora il tema dell’assenza (o silenzio) di Dio nella condizione umana. In questo primo capitolo, Dio è presente ma in modo misterioso e distorto.
4. Ambientazione intima e teatrale.
Il film è ambientato quasi interamente su un’isola deserta, in una casa di villeggiatura. Questo crea una claustrofobia drammatica e intima, accentuata da un cast di soli quattro attori, tra cui Harriet Andersson (Karin), musa e compagna di Bergman all’epoca.
5. Temi di malattia mentale e percezione del divino.
Karin, la protagonista, soffre di schizofrenia. Le sue visioni e allucinazioni sono ambigue: sono sintomi clinici o rivelazioni spirituali? La figura di Dio appare a lei sotto forma di un ragno: un’immagine potente e inquietante che rappresenta un Dio assente, mostruoso o deformato.
6. Struttura in quattro atti.
Il film ha una struttura teatrale in quattro atti, riflettendo la formazione teatrale di Bergman e il suo amore per il dramma psicologico.
7. Collaborazioni artistiche.
Fotografia di Sven Nykvist, che vinse l’Orso d’argento a Berlino. Fu la seconda collaborazione tra Bergman e Nykvist, destinata a diventare una delle più iconiche della storia del cinema.
8. Relazioni autobiografiche.
Il personaggio del padre, David (uno scrittore freddo e distante), può essere visto come un alter ego dello stesso Bergman e riflette il difficile rapporto con suo padre pastore luterano.