The Elephant Man
C’era una volta un regista giovane, inquieto e visionario, David Lynch, che nel 1980, dopo aver scioccato il mondo con il suo esordio sperimentale Eraserhead, decise di mettere da parte gli incubi industriali per raccontare un incubo umano. Ma non era un incubo fatto di mostri… o forse sì. Perché il “mostro”, in questa storia, non è chi pensi. Lynch si trovò davanti la vita tragica e vera di Joseph Merrick (ribattezzato John nel film), un uomo inglese dell’Ottocento affetto da una gravissima deformità fisica. Lynch non volle raccontare un freak show, ma un’anima intrappolata in un corpo che la società non voleva accettare. La sceneggiatura – firmata da Lynch insieme a Christopher De Vore ed Eric Bergren – è un miracolo di equilibrio. Prende il materiale biografico e lo trasforma in una tragedia umana dal ritmo lento ma preciso, quasi teatrale. Niente melodrammi gratuiti: tutto è trattenuto, sospeso. Si respira più compassione che pietà. La fotografia, in uno splendido bianco e nero di Freddie Francis, è il cuore pulsante del film. Ogni fotogramma sembra uscito da un contesto vittoriano: il fumo, i chiaroscuri, i riflessi sulle superfici di metallo degli ospedali. È un bianco e nero denso, che non idealizza, ma amplifica il senso di isolamento e dignità di Merrick. E poi ci sono gli attori. Anthony Hopkins interpreta il dottor Treves con sobrietà e sensibilità, mai retorico. Ma è John Hurt, sotto sei ore di trucco al giorno, a rubare la scena: dentro la maschera deformante, riesce a far passare emozioni vere solo con gli occhi e il tono della voce. L’effetto è struggente, ma mai manipolativo. Sul piano sonoro, Lynch mostra già il suo marchio di fabbrica: rumori meccanici, battiti, il respiro affannato di Merrick, tutto trattato con cura artigianale. Il film inizia con un sogno astratto e disturbante – omaggio alla madre di Merrick e alla sua tragedia – che ci fa capire: non sarà solo un biopic. Sarà un’esperienza emotiva e sensoriale. Dal punto di vista tecnico, “The Elephant Man” è una lezione su come usare l’apparato cinematografico per dare dignità a un soggetto delicato. Non c’è morbosità, ma un rigore etico raro. La scenografia ricostruisce l’Inghilterra vittoriana con grande cura, mentre il montaggio lavora sui silenzi, sulle pause, lasciando il tempo allo spettatore di ascoltare e riflettere. Il film fu prodotto da Mel Brooks (sì, proprio lui!) che però, per non confondere il pubblico, scelse di non apparire nei crediti. Una scelta saggia. Il film ottenne otto nomination agli Oscar, tra cui miglior film e regia, ma non vinse nulla. Il trucco di Christopher Tucker fu talmente rivoluzionario da spingere l’Academy a creare l’anno dopo l’Oscar al miglior trucco. “The Elephant Man” non è solo un film toccante: è una dimostrazione tecnica e umana di come il cinema possa raccontare il dolore con grazia, e la diversità con rispetto. È la favola triste di un uomo che voleva solo essere trattato da essere umano. E Lynch, con mano ferma, ci ha ricordato che la bellezza non sempre si vede, ma si sente.
Trama – fonte: www.comingsoon.it
The Elephant Man, il film diretto da David Lynch, è ambientato a Londra nella seconda metà dell’Ottocento e segue la vera storia di Joseph Merrick (John Hurt), un giovane deforme costretto a esibirsi insieme ad altri fenomeni da baraccone in uno show di strada gestito da un uomo malvagio, Bytes (Freddie Jones). Durante uno di questi spettacoli in giro per la città, il protagonista, soprannominato Uomo elefante a causa della Sindrome di Proteo che gli deturpa il volto, viene notato da un dottore, Frederick Treves (Anthony Hopkins), che lo porta con sé in ospedale per mostrarlo ai colleghi. Per non spaventare le infermiere, Merrick viene messo in isolamento sotto le cure della caposala, Madre Shead (Wendy Hiller), contro il parere del Direttore Carr Gomm (John Gielgud), che non vuole tenere in clinica persone incurabili. Ma l’Uomo elefante si rivela col tempo una persona sensibile e intelligente, qualità che aveva tenuto nascoste per evitare di essere maltrattato dal suo aguzzino Bytes. Nel frattempo la storia di Merrick arriva fino alla corte della regina Vittoria, che decide di istituire un fondo monetario per pagargli le cure. Nonostante l’uomo riceva le attenzioni di moltissime persone, tra cui una famosa attrice teatrale, il dottor Treves e Madre Shead si chiedono se non lo stiano trattando ancora come un fenomeno da baraccone. Quando finalmente arriva la notizia che i fondi per il mantenimento permanente di Merrick sono stati finanziati, l’Uomo elefante viene rapito dal malvagio Bytes, cambiando completamente le sorti del suo destino…
Cast – fonte: www.comingsoon.it


















Trailer
Riconoscimenti – fonte: www.mymovies.it
Il film ottenne ben otto nomination ai Premi Oscar del 1981, ma non riuscì a vincere alcuna statuetta:
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Nomination Miglior film
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Nomination Miglior regia a David Lynch
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Nomination Miglior attore a John Hurt
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Nomination Miglior sceneggiatura non originale a Christopher DeVore, Eric Bergren, David Lynch
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Nomination Miglior colonna sonora originale a John Morris
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Nomination Miglior scenografia a Robert Cartwright, Hugh Scaife, Stuart Craig
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Nomination Migliori costumi a Patricia Norris
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Nomination Miglior montaggio a Anne V. Coates
Curiosità – fonte: ilcinegico.com
1. Il lungometraggio è stato adattato dai libri “The Elephant Man and Other Reminiscences” del dottor Frederick Treves (interpretato da Anthony Hopkins nel film) e “The Elephant Man: A Study in Human Dignity” di Ashley Montagu.
2. In principio Terrence Malick rifiutò la realizzazione del film.
3. La sceneggiatura del film venne rielaborata dal giovane David Lynch, per poi arrivare nelle mani di Anne Bancroft che propose al marito Mel Brooks di produrre il film.
4. Mel Brooks non era convinto di lasciare anche la regia nella mani di Lynch, ma dopo aver visto “Eraserhead” (1977) si convinse fosse la persona giusta. Brooks non volle che il suo nome venisse accostato al film per paura che il pubblico pensasse ad una parodia o ad un film comico.
5. Ai tempi non veniva ancora assegnato il premio Oscar per il miglior Trucco ma dopo questo film, e le polemiche per non aver dato al team del Makeup neanche un premio speciale, si decise di creare la categoria l’anno seguente. Venne vinta da “Un lupo mannaro americano a Londra”.
6. Il film ricevette 8 candidature senza portare a casa nulla. Vinse le categorie principali “Gente Comune” di Robert Redford.
7. Merrick in realtà si chiamava Joseph e non John, e per la sua deformità non riusciva a parlare in modo abbastanza fluido come nel film. Solo dopo diverse operazioni ci riuscì.
8. Per realizzare il trucco su John Hurt, Lynch ottenne il permesso di prelevare dei calchi del corpo di Merrick, conservati tuttora nel museo del “Royal London Hospital”. In principio il museo aveva anche degli organi interni conservati in dei barattoli, ma vennero distrutti durante la seconda guerra mondiale.
9. John Hurt doveva sottoporsi ogni giorno a circa sette ore di trucco… arrivò ad odiare l’esperienza sul set.
10. Passano trenta minuti prima di vedere John Merrick e quaranta prima di sentirlo parlare.
11. Durante i titoli di testa e nella scena finale del film si sente l’Adagio per archi di Samuel Barber, tema musicale voluto fortemente da David Lynch.
12. Dopo il successo ottenuto dal film, nel settembre del 1980 fu presentata a Broadway l’opera teatrale omonima. Negli anni, nel ruolo di Joseph Merrick (senza nessun tipo di trucco) si susseguirono anche attori celebri come Mark Hamill, David Bowie e ai giorni nostri Bradley Cooper.
13. Merrick soffriva di neurofibromatosi (NF) di tipo I, una condizione genetica che colpisce 1 persona su 4.000. Dopo la TAC allo scheletro i ricercatori erano più propensi a credere alla sindrome di Proteo, una condizione molto più rara della NF. Nel 2001 uno scienziato ipotizzò che Merrick possa essere stato colpito da una combinazione di neurofibromatosi di tipo I e sindrome di Proteo.
14. Nella realtà sua madre non fu calpestata da un elefante mentre era incinta.
15. Il sadico alcolista Signor Bytes, che si ritiene proprietario di John, non è mai esistito, ma Merrick venne realmente scoperto come “Freak” in uno spettacolo di strada da un giovane chirurgo che lo segnalò al Dottor Treves.